Damien Hirst a Palazzo Vecchio: tra le gioie dello Studiolo uno scheletro di diamanti

Evento eccezionale è quello che si volge a Palazzo Vecchio a Firenze fino al 1 maggio 2011: nella Camera del Duca Cosimo, passando attraverso lo Studiolo di Francesco I de’ Medici si potrà vedere un’opera che non ha precedenti nella storia dell’arte e che ha fatto molto discutere, insieme alle altre opere dell’artista inglese Damien Hirst. Si tratta di “For the Love of God” (“Per l’amor di Dio”) ed è un teschio tempestato di diamanti, diventato leggendario da quando venne esposto per la prima volta al White Cube di Londra (la galleria di Damien Hirst) nel 2007. Da allora l’opera è stata visibile solo un’altra volta prima dell’evento fiorentino, nel 2008, al Rijksmuseum di Amsterdam, attirando più di 250.000 presenze. Si tratta di un calco di platino di un teschio umano in scala reale tempestato di 8.601 diamanti al massimo grado di purezza o con pochissime imperfezioni, per un totale di 1.106,18 carati. Sulla fronte è incastonato un grande diamante rosa a forma di goccia anche noto come “la stella del teschio”. I denti sono stati ricavati da un cranio umano vero del Settecento acquistato da Hirst a Londra.

Non è a un caso se si è scelto proprio lo studiolo di Cosimo e Francesco de’ Medici per ospitare questo particolarissimo “gioiello”, perché tale ambiente è un vero e proprio scrigno prezioso creato per contenere meraviglie dell’arte e della tecnica, ma anche della scienza e dell’alchimia, della natura e dell’artificio. L’opera per certi versi si ricollega alla tradizione del “memento mori”, come oggetto che parla della transitorietà dell’esistenza umana. La frase in latino, letteralmente “ricordati che devi morire”, ha origine antichissima, deriva da una particolare usanza tipica dell’antica Roma. Infatti, la consuetudine voleva che, dopo una vittoria bellica, un generale rientrasse in città sfilando nelle strade e raccogliendo gli onori e la gloria dei cittadini, riuniti per celebrarne le gesta. Tutto questo clamore però poteva in qualche modo “montare la testa” al protagonista che quindi correva il rischio di essere sopraffatto dalla superbia e dalle manie di grandezza. Per evitare che ciò accadesse, un servo dei più umili veniva incaricato di ricordare all’autore dell’impresa la sua natura umana e per farlo pronunciava più volte questa frase che rimase nella memoria storica come monito, con lo scopo di tenere sempre presente l’idea della morte e quindi il senso della vita, destinata a finire. Verso la fine del Seicento, addirittura la frase divenne il motto dei monaci dell’ordine di stretta clausura dei trappisti, i quali si ripetevano tra loro continuamente la frase mentre, un poco per volta ogni giorno, si scavavano la fossa destinata ad accoglierli.

Ma il teschio con diamanti di Hirst non è proprio un “memento mori”, piuttosto, come scrive lo storico dell’arte olandese Rudi Fuchs “rspetto alla lacrimosa tristezza di una scena di vanitas, il Teschio di Diamanti è gloria pura”, e infatti la prima cosa che si prova a guardarlo è la meraviglia della luce che emana, quasi abbagliante. Quello della morte è il tema centrale delle opere di Hirst: famose sono le sue serie in cui corpi di animali, come squali, pecore e mucche, immersi in vasche riempite di formaldeide. Manifesto della sua poetica è “The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living” (L’impossibilità fisica di concepire la morte per la mente di una persona viva); col quale presenta al visitatore uno squalo tigre di oltre 4 metri conservato in una teca piena di formaldeide.

Provocatoria e spesso scioccante, l’arte di Damien è stata protagonista di numerosi dibattiti sul concetto dell’arte stessa. Alla Gagosian Gallery di Hong Kong aveva già presentato un teschio ricoperto di diamanti (8 mila diamanti rosa e bianchi ): quello di un neonato di quattordici giorni e aveva intitolato l’opera “For Heaven’s Sake”. Il piccolo teschio appartiene alla collezione anatomica del diciannovesimo secolo acquistata dallo stesso artista, che lo vede come simbolo dell’eterno e della purezza, proprio come l’infanzia.

È arte o è semplicemente insensibilità e provocazione?

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