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L’abisso esistenziale nell’arte contemporanea americana (seconda parte)

Guardando, tra l’incanto e la paura, all’interno delle sfere di vetro di Doyle ecco che appare, con la pesantezza di un’incombente premonizione, anche un altro aspetto sociologico dell’uomo contemporaneo: la solitudine. Lo vediamo benissimo con la serie “Collateral Damage”, forse proprio il frutto di quegli effetti collaterali del modo di vivere della società occidentale.

Molto spesso le persone sono isolatamente confinate all’interno di contenitori di vetro simili a provette, mentre il contrasto tra la loro prigione invisibile e l’idea di libertà è evocata dalla distesa di erba verde splendente che i loro piedi calpestano. Questi personaggi si cercano costantemente senza mai riuscire a trovarsi e ad afferrare la mano dell’altro, in un indefinito tentativo di salvezza. Non rimane loro che continuare a guardarsi, ognuno profondamente consapevole della propria inevitabile solitudine.

L’arte contemporanea, dagli anni 70 in poi ed in particolare negli Stati Uniti d’America, diventa il palcoscenico di una profonda e malinconica riflessione sul rapporto dell’uomo con la natura, anch’esso, come la condizione abitativa e familiare, sempre più trasformato nella panoramica dell’industrializzazione e del consumismo. New York e i luoghi sconfinati dell’Ovest americano divengono protagonisti della Land Art e Dennis Oppenheim è uno dei principali artisti che si fanno portavoce dei nuovi fermenti. Nato ad Electric City (Washington) nel 1938 e morto nel 2011 all’età di 73 anni a New York, dove ha vissuto e lavorato prevalentemente, Oppenheim ha incentrato la sua ricerca artistica su una nuova interazione col pubblico, liberando l’arte dall’ormai troppo stretta condizione museale. Dopo essersi trasferito a New York, l’artista inizia, intorno agli anni 80, una serie di realizzazioni proprio all’esterno, in spazi pubblici, dove si trova la casa come una delle sue maggiori ispirazioni.

Device to Root Out Evil (Congegno per sradicare il demonio), per la prima volta esposto nel 1997, è un’architettura che segue lo stile delle chiese del New England. Opera che segue la stessa linea di riflessione sullo straneamento della visione, come lo fa la casa sottosopra di Doyle.

Dennis Oppenheim Device to Root Out Evil” ora al The Denver Art Museum, Denver, Colorado

Tutto è capovolto e la chiesa di Oppenheim ha la punta del campanile che si trova vertiginosamente a reggere la pesantezza del resto, conficcata nella terra. Anche il lavoro di Oppenheim, come quello di Doyle, è costantemente giocato tra l’umorismo e il terrore, il senso di panico e il disagio della vertigine. L’opera rappresenta anche una riflessione sulle tensioni contemporanee legate alla religione; per l’America, pensiamo soprattutto al fondamentalismo cristiano, sviluppatosi a cavallo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.

Nel 1998 Oppenheim ci mostra un’altra bellissima casetta in stile americano in bilico su ordinati cubi di vetro colorato che sembra stia per precipitare da un momento all’altro. Quello che si vede dalle finestre e dalla porta aperta è solo il cielo, mentre i resti di una possibile vita familiare sono scomparsi o non sono mai esistiti. Il disorientamento è simile, ancora una volta, a quello provato dai personaggi rappresentati da Doyle in un suo diorama, che guardano impotenti la propria casa sprofondare nel terreno di fronte ai loro occhi.

Thomas Doyle Collateral Damage tecnica mista
Thomas Doyle “As You Were” (2007) tecnica mista

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